Questo sito è stato creato in memoria dell’artista veronese Silvio Oliboni.

Le pagine, ideate e prodotte dai suoi più affezionati estimatori, sono il frutto di un’attività di ricerca e classificazione durato oltre 20 anni. Un’ampia raccolta di testi che descrivono la vita del pittore veronese e di immagini che illustrano le sue più importanti opere. Ritratti, paesaggi, nature morte, dipinti con colori a olio, a matita o acquarelli, insieme a tante altre forme d’arte prodotte dall’artista, costituiscono una collezione pari a circa 1.500 opere.

Molti visitatori, non solo gli appassionati d’arte, troveranno piacevole ammirare i soggetti, le luci, i colori e le emozioni che l’artista è riuscito a fissare in tutti suoi lavori, oggi visibili anche on-line. Ancora oggi, a 40 anni dalla sua scomparsa, ogni opera trasmette inalterata il suo gusto, la sua passione per l’arte e il suo profondo amore per la vita.


Vi invito a vedere il mondo con i miei occhi …


«Da giovane ho sempre preferito il colore al disegno. Il perchè lo preferisco non saprei come spiegarlo, ma gradatamente è penetrato in me, e non posso ora più che mai staccarmene senza rincrescimento. I quattro anni di dolorosa rinuncia sono stati di grande aiuto alla ripresa che feci più tardi con vera devozione.»

«Penso alla mia prima mostra che feci all’Interregionale di Firenze nel 1930 dove ebbi la critica e il pubblico, in mio favore, forse anche troppo; tanto che credetti di aver trovata la via da seguire; ma mi accorsi più tardi che non era quella. Sentivo di dover cambiare abolendo tutte le regole del disegno che a scuola ci avevano amorosamente insegnate, servendosi del vero come oggetto non come soggetto; trasformarlo deformandolo a maniera propria, unire i colori anche i meno pensati.»

«Tutto ciò ha colmato un intimo mio fin’ora sconosciuto a me stesso. Il ragionare per l’uomo è indubbiamente una delle più alte possibilità, ma non è la più grande, abbiamo perciò bisogno di qualcos’altro che è sì inesprimibile, ma non per questo meno esigente nell’esternarsi, è un sentimento soffocato in noi che vuole ad ogni costo venire in luce.»

«Ma da quel lontano 1930 ad oggi ho cercato sempre e interamente di esprimerlo e quando chiuso in me ho capito che l’oggetto di dipingere non è necessario che sia bello in sè, ma ch’io sappia dire qualcosa di questo. Inoltre a ciò, mi sono staccato dalla vecchia tavolozza dai colori forti e a macchia per passare nel tono più pacato e sensibile come ho voluto dimostrare nel mio ultimo lavoro. “La Lettura” concepita ed espressa in una forma nuova, che non segue la via di altri Artisti, ma la sento solamente e totalmente mia! Che piaccia o meno è questione che riguarda il pubblico; per me l’interessante è di essermi aperta una via verso più vasto orizzonte.»


Nota autobiografica sulla poetica pittorica, anni ’50


Introduzione

Nelle pagine seguenti alcune testimonianze di autorevoli critici tratteggiano le caratteristiche principali dell’opera pittorica di Silvio Oliboni. Guido Perocco, mette in luce la “predilezione tonale tipicamente veneta” G.L. Verzellesi sottolinea la conquistata “unitarietà” compositiva, Carlo Segala indica la vena lirica “fatta di accostamenti sottili. di rapide annotazioni, di asciutte descrizioni della realtà, nella quale la forma si accompagna ad una segreta scienza del colore”.

E via via, per i numerosi scritti, prende corpo una immagine di artista che ha saputo lasciare un segno, trovare la strada di un’espressione personale, scavata nell’ambito della tradizione, grande, del paesaggismo veneto. In prospettiva storica Silvio Oliboni ha vissuto da protagonista una vicenda artistica complessa, o almeno assai più complessa di quanto, a prima vista, non sembri.

Partito da una rilettura personale del tonalismo dei Gino Rossi, degli Springolo, dei Semeghini e dei Dalla Zorza, luminosìtà e gentilezza restano sempre i suoi parametri operativi, sebbene la sua sensibilità culturale lo metta , costantemente, in avvertenza circa la novità e la forza che l’espressionismo viene adducendo nell’arte contemporanea. Il contatto con la realtà naturale, ricercata nelle luci vibranti del paesaggio veneto ed ancora nelle luci abbaglianti della Spagna, è in lui quasi ricerca di conferme esistenziali, oltre che visuali. Le composizioni drammatiche del primo dopoguerra, come alcuni esercizi astratti sono la prova provata della sua partecipazione alle “forme nuove” che l’arte andava proponendo.

Ma la natura con la sua presenza, la sua costanza, la sua infinita possibilità di luminosità dolci e di incanti lirici prendeva costantemente il sopravvento, richiamando l’Artista alle origini, alle “radici” culturali indimenticabili. Silvio Oliboni è stato un protagonista della pittura figurativa, in specie, del secondo dopoguerra. La sua scomparsa è così recente che la sintesi storica copre, però, troppo freddamente l’immagine dell’artista. Così, a parte gli scritti critici assai lucidi di Mozzambani riportati nelle pagine seguenti, ho “spigolato” questo bellissimo stralcio da un articolo, sempre di Mozzambani. in “Vita Veronese”:

“Lo ricordo di mattino presto, o nei pomeriggi arieggiati e non ancora devastati dal sole dell’estate per troppa luce e altrettanto calore, partire a piedi da Via Santini, dove allora abitava prima di trasferirsi in Via Ederle, con la cassetta dei colori e il cavalletto ripiegato, verso Avesa salendo la leggera china di Via Monte Ortigara, o proseguendo per Via Santini dirigersi verso Villa e Quinzano, immediati dintorni della città da lui dipinti, e rilevati con infinito amore…..”

Dunque, prospettiva critico-storica a parte (oppure proprio a completamente della prospettiva critico-storica), ricordiamo Silvio Oliboni così. Mentre con gli strumenti del pittore parte da casa per andare a dipingere quei paesaggi che tanto amava e che tanto amorosamente ci ha trasmesso e fatto comprendere.


Carlo Emanuele Bugatti – Direttore MusINF Senigalia
Museo d’Arte Moderna, Informazione e Fotografia


La Pittura Tonale Veneta

Silvio Oliboni rimane un esponente di rilievo della pittura tonale veneta della “seconda generazione”, quella seguita ai Gino Rossi, agli Springolo, ai Semeghini, ai Dalla Zorza, e, nella storia di Verona, la sua città, ai Zamboni, ai Vitturi, ai Pigato, ai Farina, agli Stringa. Già anteguerra alcuni paesaggi della prima periferia veronese lo vedono bene inserito nella tradizione preziosa del postimpressionismo, eppure certe luci diamantine, certe decise annotazioni materiche, lo dimostrano anche ribelle a tanto nobile retaggio.

Preparato tecnicamente dalla formidabile scuola di A. Nardi (protagonista del Novecento veronese insieme a G. Trentini, come lui insegnante all’Accademia di Belle Arti G. Cignaroli), Oliboni, dopo le prime prove spontanee che studiano la pittura dell’Ottocento, trova subito la sua strada vocativa, ma circostanze individuali, o storiche come la guerra mondiale, lo distraggono dal cammino desiderato. Sono anni difficili, in cui alle traversie collettive egli unisce voglie culturali di novità tanto formali che espressive.

È proprio durante la guerra che incontra l’espressionismo tedesco, restandone affascinato per la concentrazione esistenziale che riesce a creare con la tipica violenza segnica e coloristica. C’è in ciò anche un riferimento culturale archetipo, nel ricordo del momento della “Secessione di Ca’ Pesaro” che tanto seguito aveva avuto a Verona (tramite Casorati che viveva in città) e che fino agli “anni venti” trovò impegnati tutti i veronesi citati, e Nardi il maestro di Accademia. Se allora i riferimenti erano, a dire il vero, viennesi, non dei tutto estranei potevano sembrare, dopo, quelli provenienti da Monaco o Berlino. Anche alla fine delle ostilità Oliboni continua a cercare, eseguendo figure e paesaggi incupiti, drammatici.

Ogni tanto, però, la “spia” veneta rientra con opere subito luminose e gentili, colme di tenera comprensione per il soggetto, nel raro cadenzare della pittura. Così tra corsi e ricorsi, anche disturbato da molte prove fisiche e morali, Oliboni dimostra la sua inquietudine; quasi temesse di incanalarsi nel solco benigno e amato dell’arte veneta. Qualche isolata composizione lo vede dedito all’astrazione distinguendosi nell’occasione per l’eleganza formale, per la chiara risoluzione delle cromie. Disegna anche molto in quegli anni, come aveva fatto sempre in passato. E alcuni di segni veloci, a matita o a penna, con schizzi dal vero ed appunti freschissimi, sono molto spesso le prove più certe degli anni ’50.

È all’inizio degli anni ’60, orinai libero di dedicarsi solo alla pittura, che ha luogo per intero il suo ritorno maturo alla vocazione originaria, con l’abbraccio definitivo, e propizio, del tonalismo fervido e dolce che tanto distingue, in chiarezza ed armonia, la pittura veneta dei ‘900. Come topografo poeta gira e rigira i primi dintorni della città, la sua campagna profumata, le colline colme di angoli vergini, con possibilità inconfondibili di suggestione. Va per le valli famose come la Valpolicella, s’incunea nei contrafforti del Garda, per cercare i timidi argenti verdeggianti degli ulivi, o la pura luminosità delle “marogne” a secco che dividono il dorsale delle colline. E tutto rapisce con l’eleganza naturale del suo occhio esperto, del polso fermo e raffinato.

Luci radenti o soffuse, primi piani o larghi spazi, tagli aerei o frontali, le sue armi benigne entrano nella verità del paesaggio per farlo pittura, per realizzare con semplice moralità la magia espressiva originale. Come un pellegrino, con l’innata modestia, va alla fonte del paesaggio veneto, visitando con l’emozione della pittura Burano, la laguna, Chioggia, Venezia, e le isole altre. Ne riporta opere colme di poesia, e forti conferme coscienti del proprio destino di “Poeta”, ne riporta un sempre più personale modo di visitare il paesaggio e di armonizzarlo nel vivo del suo colore delicato ma pregno di natura: sua sostanza.

Gli ritorna il gusto per la “natura morta” di cui è sintomatico interprete attento ai minimi scarti della luce, alla inquietudine delicata degli interni. Gli ritornano, ora definitive e felici, le figure umane, e, in modo straordinario, i fiori, di cui ricerca contrasti difficili, giocati sui toni neutri, sulle tinte smorzate, ed interiori. Grigi e bruni, terre variate, ocre, gialli fecondi anche se mai esclamativi, si fondono con gli azzurri, coi verdi di velluto, coi bianchi che crescono e diminuiscono come le forze comparative della musica in una orchestra completamente sintonizzata con le armonie dell’animo.

Viaggia, viaggia instancabilmente malgrado la salute non gli sia mai del tutto amica, a dimostrazione di cosa valga la passione, la scelta di vivere la vita senza concessioni per sé stesso individuo. Il Meridione lo affascina malgrado le luci così lontane dalla soffusa dolcezza del suo Veneto; soprattutto in Puglia molto dipinge, perché ritrova in parte negli oliveti e nei vigneti motivi consueti. Le “marine” sono memorie da inseguire con assidua variazione di luce, di angolazione visiva e scenografica. Nel rapporto nobilissimo di luminosità, di chiarori, tra l’acqua e il cielo, ritrova i motivi consueti del Garda, ritrova in ampiezza una libertà panoramica affascinante e promettente.

I quadri dimostrano che la sua ricerca era conveniente ed appropriata. Anche in Spagna, in Francia, in Inghilterra, trova occasione culturale ed espressiva. Per la pittura, per la sua conoscenza, per occasione di esposizioni cui il pubblico locale e la critica dimostrano interesse e partecipazione. Il suo provare e riprovare in varietà di luce e di stagioni, la voglia di perfezione, offrono oggi la gamma sorprendente della sua raffinata maturità compositiva: con la certezza di scegliere sintomaticamente le occasioni migliori, di ciò che la bellezza paesaggistica ancora garantisce al viandante che sa guardare e capire.

C’è tutto l’appartato gestire dei veneti, con la scabra forza del linguaggio e dei sentimenti, nelle pennellate sensibili e sodali, che gremiscono la superficie dei suoi dipinti, e sono le note inconfondibili di una poesia colorata che, se tradisce l’emozione vissuta, sempre la controlla nella ferma moralità della sua destinazione partecipante l’immagine in pudica narrazione figurativa.


Alessandro Mozzambani
Poeta e critico d’arte